In occasione della festa patronale che vede Cirò
festeggiare il suo Santo protettore San Nicodemo dal 10 al 12 Agosto giungono di solito da Mammola tanti fedeli che insieme al popolo di Cirò festeggeranno l’incontro religioso tra i due popoli veneranti lo
stesso Santo: San Nicodemo, Patrono di Mammola e Protettore di Cirò. Ad
accoglierli come sempre il comitato festa patronale, la proloco,
l’amministrazione comunale, in parroci e i fedeli tutti in gemellaggio
religioso e storico tra i due comuni. Da sempre il popolo Mammolese
festeggia in Gemellaggio con Cirò in
occasione della festa, il Santo comune.
Un antico appuntamento quello tra i due paesi: Cirò dove il santo nacque nel
lontano 900, e Mammola dove morì nel 990. San Nicodemo dunque patrono e protettore
delle due città: Cirò e Mammola , nacque
da una famiglia umile, il padre Teofano, la madre Panta Dima, vivevano in un’umile casetta
nell’allora villaggio Ypskron, attuale portello, oggi chiesa del Santo. Sono molti i miracoli a lui
attribuiti, specie quando era ragazzino, come la lotta col diavolo , di cui
ancora oggi, sulla pietra a cui egli si aggrappò, dietro la sua casa, sono
evidenti i segni lasciati dalle sue dita infilati nella pietra, oggi meta di
pellegrinaggi. Secondo quanto ancora oggi raccontano gli anziani, pare che San
Nicodemo da bambino era solito giocare ad infilare le sue dita e le mani, come
pure i piedi, nella dura roccia, mentre questa si lasciava deformare. Molte di
queste impronte sono ancora oggi visibili sulla pietra dietro l’altare, luogo
di continui pellegrinaggi da parte di fedeli, che ogni anno, da tutto il mondo,
specie dall’Australia e America, dove si trovano numerosi Mammolesi, giungono a
Cirò a visitare i sacri posti dove il Santo nacque e visse da bambino, prima di
partire per Mammola. Ancora oggi gli anziani raccontano il miracolo del vino e
dell’acqua avvenuto in zona Mordace-Castedduzzo-Coppa, dove il padre si recava
a lavorare i campi, ed è proprio in questa zona che alcuni anni fa un amatore di storia locale, grazie a molte
indicazioni avute dagli anziani, è riuscito, dopo mesi di ricerca a trovare
l’esatta posizione della fontana, dalla cui pietra, grande come il dorso di un
elefante, attraverso tre fori praticati
con le dita del Santo, ancora oggi fuoriesce acqua; mentre ai piedi della collinetta dove
il padre era solito lavorare , si trova quasi nascosta dalla vegetazione e da
cumuli di frana, una grotta dove il Santo si ritirava in preghiera.
E ancora si
racconta, che riuscì a catturare un
cinghiale con un filo d’erba, che portò alla sua famiglia come pranzo per la
cerimonia di matrimonio della sorella. Si racconta che, mentre era in viaggio,
lontano da Cirò, per ritirarsi in preghiera, incontrò un venditore di brocche
con il suo asinello, che gli chiese se poteva avere una ciotola per potersi cuocere la ghianda, cibo
prediletto di San Nicodemo, il venditore
glielo negò dicendo che se i maiali la mangiavano cruda, perché egli la
doveva cuocere? E così andò via , ma fatto pochi passi , ruzzolò da un dirupo,
di tutto il carico che trasportava sull’asinello, si salvò solo la ciotola che il Santo gli aveva chiesto. Così preso da
rimorsi, il venditore tornò indietro e donò la ciotola superstite al Santo,
chiedendogli scusa. Raggiunto la sua maturità, si vide costretto a lasciare il
paese, in quanto le sue “stranezze”, lo rendevano ridicolo agli occhi del
popolo, e se ne andò amareggiato a tal punto che fermatosi a metà cammino, nei
pressi di Gerace, egli disse:”Sentu vuci e cirotano, mi mpesu e vajiu avanti”(sento
voci di cirotani, mi alzo e riprendo il cammino), tanto era la paura di
incontrarli.
Arrivò a Mammola sul monte Zappino, dove vi rimane fino alla sua
morte avvenuta nel 990. Il corpo fu trovato invaso dalle formiche, le quali non
invasero la sola lingua che tanto aveva saputo annunciare e consolare specie
gli afflitti e deboli. Qui lo veneravano così tanto da divenire il
protettore della città. Per questo gli
anziani ancora oggi dicono che San Nicodemo è il protettore degli stranieri e
non del suo popolo di Cirò che lo ha deriso fino a farlo scappare, ben venga
dunque il gemellaggio che riporta a casa
non solo il santo ma anche l’attesa
benedizione. E’ di qualche mese fa la
notizia del lascito alla chiesa del Santo, di una casa, adiacente ad essa, che
la signora Rita Bullotta ha voluto offrirla in devozione al Santo. Ed è proprio
questa casa ad ospitare di volta in volta i mammolesi nelle giornate di
pellegrinaggio. Un tempo le case
adiacenti alla chiesa era una unica casa dove all’interno, l’attuale altare
maggiore, era proprio la piccola dimora della famiglia del Santo. Si racconta
che egli andò in sogno al proprietario della casa raccomandandogli di lasciarla
perché li doveva nascere una chiesa a lui dedicato, ma l’anziano signore non
volle credere al sogno, e dopo l’ennesima volta che sognò il Santo, gli morì
l’asinello, solo allora l’anziano contadino decise di lasciare la casa
divenendo in futuro chiesa omonima, oggi meta di molti pellegrini.
Dopo
i miracoli dell’acqua e del vino era piu’ evidente la sua Santita’ tanto da
essere preso di mira anche dal diavolo che lo volle tentare; Nicodemo era
solito giocare dietro casa, sulla roccia dove trascorreva il tempo giocando ad
infilare le dita nella roccia come se fosse burro, la roccia si lasciava deformare
e plagiare dalle sue impronte ancora oggi Visibili, ad un certo punto il
diavolo lo spinse dalla rupe e lui Nicodemo riuscì ad aggrapparsi dalla roccia
grazie alla deformazione di questa che divenne come un appiglio per Nicodemo,
scampando così di essere scaraventato giu’ dalla roccia. Da allora la roccia
dietro casa e oggi dietro la chiesa omonima si chiama roccia del diavolo. Ma
non solo i cirotani hanno parlato di San Nicodemo anche lo storico Antonio Borrelli, ha trattato la
storia di San Nicodemo da “Santibeati in Calabria”, dove si può leggere
che: ” Teofane e Panta furono i genitori di Nicodemo, che nacque a Cirò nei
primi anni del X secolo, lo affidarono alla cura spirituale di un pio e dotto
sacerdote, Galatone, contemporaneamente il ragazzo progredì nelle scienze sacre
e nella pietà. Da giovane poté vedere il comportamento licenzioso di alcuni
suoi contemporanei, che lo disgustarono, cosicché sentì maggiormente
l’attrazione per la vita monastica, che veniva professata nel secolo X, da quegli
asceti con fama di santità, nella zona del Mercurion, sulle balze del Pollino
in Calabria. Lasciata Cirò, andò a chiedere l’abito monastico all’austero abate
s. Fantino, ma gli fu rifiutata più volte questa richiesta, perché non veniva
ritenuto adatto a quella vita di studi, penitenze e mortificazioni, vista la
sua gracile costituzione fisica. Deluso ma non convinto, insisté tramite i
buoni auspici di altri monaci, finché s. Fantino commosso dalle sue insistenze,
gli concesse l’’abito angelico’, così chiamato tra i monaci greci di quel
tempo. Nicodemo divenne insieme a s. Nilo di Rossano, esempio splendente di
vita ascetica del Mercurion, cresciuti e formati tutti e due alla rigida scuola
dell’abate s. Fantino; essi accomunati ad altri santi monaci calabro-siculi
resero famosa in tutta la
Cristianità la loro Comunità, al punto che Oreste, patriarca
di Gerusalemme la descrisse elogiandola, nei suoi autorevoli scritti e
biografie. Il tipo di vita praticato è impensabile ai nostri giorni, ma
costituiva il perno dell’ascesi, insieme alla purezza, dei monaci
calabro-siculi di quell’epoca; vestiva con una pelle di capra, andava a piedi
nudi in ogni stagione, dormiva su paglia in una grotta, mangiava castagne e
lupini.In età abbastanza matura, decise di lasciare il Mercurion e si ritirò in
un eremo del Monte Cellerano nella Locride, ma la fama di santità che lo
seguiva, attirò molti monaci che gli si affidarono e quindi Nicodemo si vide
costretto a fondare una laura, cioè una colonia di anacoreti, vivendo divisi, ognuno
in una capanna e riunitasi una volta la settimana, più tardi il termine
designerà un grande convento.
La sua laura fu visitata anche da s. Fantino e
altri monaci del Mercurion; purtroppo però era troppo esposta alla curiosità
dei fedeli e soprattutto alle scorrerie dei Saraceni, per cui prevedendone la
distruzione, disperse i monaci in altri monasteri e lui si ritirò presso Gerace
in un cenobio, accentuando l’austerità della sua vita. Ma anche qui non restò a
lungo e dopo alcuni anni si ritirò in un luogo solitario vicino a Mammola, che
presto anch’esso si trasformò in un famoso monastero di monaci greci.
Nonostante i settanta anni passati nell’asprezza della vita ascetica, Nicodemo
visse circa 90 anni, tantissimi per quei tempi e a dispetto della sua gracile
costituzione fisica; morì nel monastero di Mammola, che prese poi il suo nome,
il 25 marzo 990. I miracoli fiorirono sulla sua tomba e quindi venne proclamato
santo, allora non c’erano tutte le procedure che occorrono oggi. Nel 1080 i
Normanni trasformarono il piccolo oratorio con la sua tomba, in una grande
chiesa, restaurando anche il monastero e concedendo privilegi e beni.
Le reliquie furono poi traslate nella chiesa di Mammola nel 1580 che lo proclamò suo patrono nel 1630, fissando la festa liturgica al 12 marzo. I pontefici nei secoli successivi concessero particolari indulgenze nell’occasione della sua festa e altre celebrazioni. Il Comune di Mammola nel 1884 fece decorare artisticamente la cappella, una ricognizione delle reliquie è stata effettuata il 12 maggio 1922 nella coincidenza dell’inaugurazione della ricostruita e abbellita chiesa”.
Le reliquie furono poi traslate nella chiesa di Mammola nel 1580 che lo proclamò suo patrono nel 1630, fissando la festa liturgica al 12 marzo. I pontefici nei secoli successivi concessero particolari indulgenze nell’occasione della sua festa e altre celebrazioni. Il Comune di Mammola nel 1884 fece decorare artisticamente la cappella, una ricognizione delle reliquie è stata effettuata il 12 maggio 1922 nella coincidenza dell’inaugurazione della ricostruita e abbellita chiesa”.
Presto i fedeli di
Cirò organizzeranno un pellegrinaggio a piedi verso i suoi luoghi santi di
Coppa-Mordace dove c’è la fontana e la grotta e dove ha compiuto i primi
miracoli.