sabato 27 settembre 2025

E' ovvio che San Nicodemo Abate è nato a Cirò lo dicono i documenti e gli storici

 


Cirò – Negli ultimi anni sembra quasi che si sia scatenata una vera e propria corsa a chi, per primo, riuscisse a “svelare” la presunta notizia che San Nicodemo non sarebbe nato a Cirò
, bensì a Sikros, anziché a Psikron, come se si trattasse di una scoperta clamorosa e sensazionale. Eppure, verrebbe da chiedersi con ironia: dov’è davvero la notizia? In realtà, sarebbe più corretto dire che si tratta della classica “scoperta dell’acqua calda”, dal momento che la prima a formulare questa ipotesi – senza disporre di alcuna nuova documentazione inedita – fu lo scrittore Giuseppe Gallucci di Mammola, nel suo contributo apparso sul Bollettino della Badia Greca di Grottaferrata del 1981, intitolato “Sikros terra natale di San Nicodemo” (pp. 181-198).

 

Ora, è lo stesso Gallucci ad apparire fin troppo sbrigativo e superficiale quando, basandosi unicamente sulla supposizione che il grande monaco basiliano e Generale d’Italia, Apollinare Agresta, avesse “inventato” la natività cirotana di San Nicodemo, liquida secoli di tradizione. Il suo ragionamento si fonda sul fatto che Agresta, nel XVII secolo, non avesse riportato nelle note le fonti da cui trasse le sue informazioni. Ma davvero questa è una prova sufficiente? Siamo nel 1677: non tutti gli autori di quel periodo annotavano meticolosamente le proprie fonti, e soprattutto non esisteva alcun obbligo di renderle pubbliche. Anzi, spesso gli studiosi custodivano gelosamente i documenti rinvenuti, proprio per proteggere la propria ricerca. Perché, dunque, Agresta avrebbe dovuto fare eccezione? Molto più plausibile pensare che fosse stato semplicemente più abile, o più fortunato, nel reperire quei documenti che altri, successivamente, non furono più in grado di rintracciare.

 

Ecco il punto cruciale: gli autori post-Agresta, invece di insinuare il dubbio che “in assenza di note il Santo non fosse di Cirò”, avrebbero dovuto assumere il ruolo dei veri storici, ossia quello di scavare nelle biblioteche, negli archivi e nelle pergamene, per cercare documenti nuovi, tangibili e inediti. Invece, molti hanno preferito adagiarsi sulla comoda ipotesi del dubbio, quasi fosse sufficiente ribaltare una tradizione secolare solo perché mancano note a piè di pagina. Ma la storia non si scrive con le ipotesi: la storia si fa con i documenti alla mano.

 

Lo stesso Gallucci, del resto, è costretto ad ammettere – leggendo attentamente le sue pagine – che San Nicodemo fosse di Cirò, come scrivono Agresta, Pugliese, Aromolo, Zavaglia, Terminelli e tanti altri. La sua unica obiezione resta sempre la stessa: “nessuno di loro ha inserito le note da dove hanno attinto”. Ma questo, ripetiamolo, non è un problema dei grandi autori del passato, bensì dei ricercatori moderni che non sono riusciti a ritrovare le fonti originarie.

 

C’è poi un altro aspetto da considerare: il nome stesso di Cirò. Monsignor Terminelli, dotto studioso, ha dimostrato come il toponimo subì nei secoli numerose variazioni fonetiche, passando dal greco al latino e al bizantino. Così, da Ypsikron si passò a Ypsicron, poi a Psicron, a Sicron/Sikron, a Sicrò, a Zirò e infine all’attuale Cirò. E allora, davvero basta trovare in una delle 25 “bios” la parola Sicros al posto di Sicron o Psicron per pensare a un luogo diverso? Non ci voleva certo troppa immaginazione per capire che si stava parlando della stessa comunità, oggi nota come Cirò. Del resto lo stesso Agresta che era di Mammola davvero non conosceva il suo territorio?

 

Inoltre, il legame tra San Nicodemo e San Nilo di Rossano conferma l’itinerario spirituale e geografico tipico dei monaci basiliani, che attraverso Rossano e Umbriatico giungevano a Gerace e infine a Mammola. Davvero qualcuno può credere che San Nilo sia arrivato “in aereo” nel reggino, come suggerirebbe ironicamente l’assurdità di chi vuole separare due percorsi storicamente intrecciati?

 

C’è poi la testimonianza concreta dei documenti. Già nel 1696 un notaio scriveva che San Nicodemo era concittadino e Patrono di Cirò: avrebbe potuto mai un notaio redigere atti ufficiali riportando il falso? Allo stesso modo, nel 1630 Papa Urbano VIII, con un atto solenne, attestava che San Nicodemo era Patrono e concittadino di Cirò: possiamo pensare che un Pontefice scrivesse consapevolmente una menzogna? È inverosimile. E come si potrebbe mai screditare una tradizione che da oltre 1125 anni viene tramandata di generazione in generazione, un culto radicato, vivo e attestato, che ha come fulcro la chiesa stessa dedicata al Santo, sorta nel luogo della sua nascita secondo la tradizione locale?

 

Dunque, fino a quando non verranno portati alla luce documenti autentici, originali e inediti che possano davvero smentire Apollinare Agresta, ogni altra ipotesi resterà fragile e infondata. Se proprio a qualcuno dà fastidio che San Nicodemo sia nato a Cirò, lo invitiamo ad avere la pazienza – e l’umiltà – di trovare prove concrete, e non limitarsi a congetture.

 

Fino a quel momento, la verità resta quella che la storia documentata da Agresta e la tradizione popolare cirotana ci consegnano: San Nicodemo è nato a Cirò. Chi non accetta questo, almeno abbia il rispetto  di non infangare la memoria di un popolo che da secoli custodisce con orgoglio la sua identità e il culto del proprio Patrono.

mercoledì 10 settembre 2025

Cirò- Gemellaggio religioso in nome di San Nicodemo Abate di Cirò e Mammola.


Cirò- Gemellaggio religioso in nome di San Nicodemo Abate di Cirò e Mammola. 

Cirò- All’indomani del gemellaggio religioso e culturale tra Cirò e Mammola dove una delegazione di 66 persone insieme al sindaco Mario Sculco e all’assessore Salvatore Giardino, e al parroco don Massimo Sorrentino,  si sono recati a Mammola in nome dello stesso Santo Patrono. “Il culto di San Nicodemo Abate rappresenta un autentico ponte religioso e spirituale che unisce da tempo le comunità di Mammola e Cirò- scrive  in una nota il sindaco di Cirò Mario Sculco, -ciò che ci accomuna è una profonda e sincera devozione al Santo, nato a Cirò nel 900 e morto a Mammola nel 990”. Per questo – prosegue la nota di Sculco-  “entrambe le comunità meritano di custodire e rafforzare questo legame sacro con ancora più convinzione, soprattutto in un tempo come il nostro, in cui la fede rischia spesso di essere dimenticata o marginalizzata. Rinnovare il gemellaggio religioso, la memoria e la devozione verso San Nicodemo, significa non perdere il contatto con ciò che ci rende davvero umani: la ricerca del bene, la speranza nella grazia e la volontà di essere comunità-non solo di persone, ma di spiriti uniti nella fede. Con questo spirito di comunione e fratellanza, prosegue Sculco- desidero rivolgere, sia personalmente che come cittadino, un sincero e caloroso ringraziamento al sindaco Raschellà, all’Amministrazione e all'intera comunità di Mammola e al Comitato festa per la calorosa accoglienza”. La partecipazione dei fedeli e la presenza del sindaco di Mammola-rappresenta per noi-prosegue Sculco-   un segno concreto di amicizia, rispetto reciproco e fede condivisa, che rafforza ulteriormente il legame spirituale tra le nostre due comunità. Un pensiero forte e gentile da Mammola, testimone di una giornata vissuta nella fede, nel rispetto e nell’unione. Insieme oggi, ha detto Sculco- abbiamo condiviso amicizia, convivialità e momenti intensi e significativi, rafforzando così il gemellaggio religioso tra le nostre comunità.


 “
Due comunità in festa: quelli di Mammola e Cirò, attorno alla figura di San Nicodemo Abate- scrive in una nota il sindaco di Mammola Stefano Raschellà- un ritorno alla festa millenaria, quella di San Nicodemo, che per  la comunità di Mammola significa storia e cultura millenaria, e poi le due comunità, quella di Cirò e quella di Mammola, legati da un gemellaggio, da un sodalizio di fede e di storia. Con il Sindaco Mario Sculco di Cirò abbiamo ripreso questa antica tradizione che era già iniziata nei decenni precedenti del secolo scorso. Ripresa  già lo scorso 7 Agosto a Ciro con la nostra visita, quella della delegazione dell’amministrazione comunale di Mammola e dei fedeli


e oggi abbiamo accolto noi la comunità di Cirò a Mammola. Una comunità che vuole rivivere, rivisitare anche quella che è la storia, la vita di San Nicodemo, già scritta nel 1677 da Apollinare Agresta e  poi ripresa da tanti altri studiosi, i quali sottolineano la nascita a Cirò nel 900 di San Nicodemo Abate Patrono delle due comunità”.

 

domenica 31 agosto 2025

Cirò- “Dima: eletto e stimato dal Popolo” potrebbe essere questo l’origine del cognome del nostro Santo Patrono San Nicodemo abate, nato a Cirò nel 900

 


Cirò- “Dima eletto e stimato  dal Popolo” potrebbe essere questo l’origine del cognome del nostro Santo Patrono San Nicodemo abate,
nato a Cirò nel 900, a cui il monaco basiliano  generale d’Italia Apollinare Agresta, ci aveva  svelato il suo cognome: “ Dima”  nel suo libro dedicato al Santo nel 1677. Alcuni autori lo fanno derivare  dal greco Demas in particolare nel Meridione, si ritiene infatti, che derivi dal nome personale Dima. Altri invece ricordano come  l'Apostolo Paolo menziona un uomo di nome Demas nella Bibbia, anche da qui potrebbe derivare  l'origine del cognome, oppure  dal nome arabo Dima, o da un soprannome legato al greco dimos che vuol dire  "popolo". Secondo lo storico Alessandro Barbero, “il cognome divenne necessario dopo l'anno Mille a causa della crescita demografica, della maggiore mobilità delle persone e della necessità di distinguere i contadini, che in precedenza erano legati alla terra e identificati con il loro nome. Dopo l'anno Mille Iniziarono a formarsi i cognomi, spesso basati su nomi di mestieri, soprannomi, nomi di luoghi (toponimi) o discendenza da un antenato”. Il nome Demas ha origini nell'antica Grecia, radicato nella parola greca "demos", che significa popolare o il popolo. Pertanto, il nome Demas incarna la nozione di essere benvoluto o stimato tra le masse. Riflette un senso di carisma e attrattiva sociale, attributi molto apprezzati in molte società nel corso della storia. In termini di utilizzo storico, il nome Demas trova la sua menzione più nota nel Nuovo Testamento biblico. Nel libro dei Colossesi, Demas è citato come un compagno di lavoro dell'apostolo Paolo, servendo al suo fianco durante i suoi viaggi missionari. Diffuso come altri nomi greci popolari, le sue radici nell'antica Grecia e il suo significato di essere stimato dal popolo gli conferiscono un fascino duraturo. Coloro che portano il nome Demas emanano spesso un senso di popolarità e favore, suggerendo una naturale capacità di connettersi con gli altri e di lasciare una positiva impressione. E queste caratteristiche rappresenta in pieno la famiglia Dima di San Nicodemo i quali genitori erano pii ed umili, perciò probabilmente il  suo cognome era già conosciuto nel 600 visto che già dopo l’anno mille la sua famiglia discendente veniva conosciuta con il nome Demas.

venerdì 4 luglio 2025

Cirò- “San Nicodemo Abate è nato a Cirò il 12 Maggio del 900 nell’antico villaggio di Psicrò odierna Cirò la verità in uno dei 25 Bios a lui dedicati in uno studio di Mons Terminelli

 


Cirò- “San Nicodemo Abate è nato a Cirò il 12 Maggio del 900 nell’antico villaggio di Psicrò odierna Cirò
la verità in uno dei 25 Bios a lui dedicati” . A sciogliere ogni dubbio  sul suo luogo di nascita diversi autorevoli storici antichi e moderni   i quali ne  sostengono le origini cirotane, della statura di: Abate Apollinare Agresta(1621-1695); Tommaso Aceti (1687-1749); Giovanni Fiore da Cropani (1622-1683); G.F. Pugliese (1789-1855); Antonio Aromolo nel 1901;  D. Vincenzo Zavaglia (1906-1974) di Mammola; Antonino Terminelli (1922-2016); P. Francesco Russo (1908-1991). Grazie ai loro studi hanno tolto ogni dubbio sul luogo nativo del Santo annullando le teorie di chi lo voleva nato nel reggino  solo perché alcuni autori lessero solo uno delle 25 copie dei bios esistenti sulla vita di San Nicodemo tradotto sotto dettatura dal monaco Daniele , un bios  a dire dagli studiosi, pieno di errori, che riportava erroneamente  il nome di Sicròs, mentre il monaco Agresta aveva letto senza ombra di dubbio-scrive il dotto Mons Terminelli-  un'altra copia dove era riportato il nome Psicrò, termine che lascia poco spazio ad altre forzate  interpretazioni. Una soluzione a cui era giunto   l’immenso Mons. Antonino Terminelli   nel 1979 attraverso uno studio minuzioso riportato nel suo ”Cirò, Patria di San Nicodemo”-estratto da “Studi Meridionali n.4 ” . Il Monaco Agresta  nella sua: ”Vita su San Nicodemo Abbate dell’ordine di  San Basilio”- Edito a Roma nel 1677,- scrive Mons Terminelli- afferma senza la minima ombra di dubbio che:” nella provincia della Calabria Citeriore quattro miglia distante dal mare Ionio, nei contorni delle Saline del fiume Neto sortì il nome  Nicodemo”. Nel Bios al foglio 245 il Saetta  legge:” Ebbe la dimora nelle Saline, in un paese detto Sicròs”,  ma Sicròs non è un paese ma solo il nome di un torrente, un ruscello in  un terreno scosceso della locride, da qui l’errore e l’inganno da parte di chi ha voluto costruire  una nuova Patria per San Nicodemo diversa da quello indicato dal dotto Agresta, infatti la parola Sicrò, è stato  scritto sotto dettatura dal monaco Daniele, un testo pieno di errori. Indubbiamente scrive Mons Terminelli-   del Bios  di San Nicodemo dovevano esistere copie diverse con numerose varianti. Sicuramente il Bios  letto dall’Agresta riportava il nome Psicrò, manoscritto conservato nel Monastero di San Salvatore, dove afferma senza ombra di dubbio, ch’esso è l’originale, e che questo è uno dei 25 copie esistenti presenti nelle biblioteche dei vari monasteri e negli stessi ascetari.  Da qui la conferma- prosegue Mons Terminelli- che Psicrò del Bios di Nicodemo non poteva non essere che l’attuale Cirò. Questa convinzione  veniva inoltre suffragata dal testo che ci viene offerto dal “ Sermo in vitam Sancti Nicodemi”. E comunque precisa Mons Terminelli: anche se dovessimo accettare la variante “Sicros” letta dal Saletta nel Bios, non dovremmo avere difficoltà a riferirla all’attuale Cirò visto che la voce greca di Sicròs sta ad indicare un fenomeno di semplificazione fonetica che lungo i secoli ha portato all’attuale nome di Cirò. Inoltre scriveva  Mons. Terminelli:” la causa con Mammola non avrebbe potuto avere senso e significato, se la premessa della veridicità dei natali fosse stata disattesa, perché non fondata o addirittura falsa.  Sarebbe stato assai facile all’Università di Mammola aver ragione se Nicodemo non fosse nato veramente a Cirò. Per questo a Cirò venne dato un pezzo della mascella del Santo,  consegnato allora al feudatario Spinelli, che venne  conservato in un oratorio  scelto proprio perché fu la casa nativa del Santo, dove abitava la famiglia Dima, genitori di San Nicodemo, dove fece i primi miracoli ancora oggi visibili sulla roccia del  pavimento. Certi della sua appartenenza e dietro insistenza dei cittadini e del clero  nel 1630 Papa Urbano VIII lo proclama Santo Patrono e cittadino di Cirò il 2 Marzo del 1630. Per tutto questo i Cirotani ringraziano il dotto Mons Terminelli per aver sciolto ogni dubbio sulla nascita di San Nicodemo, attraverso la sua scrupolosa ricerca storica.

giovedì 29 maggio 2025

Il Botanico De Fine in convegno su Etnobotanica all'Università della Calabria

 


Etnobotanica e tradizioni: il Barlacchi-Lucifero approda all’UNICAL

Il Centro Congressi "Andreatta" dell'Università della Calabria ha recentemente ospitato un convegno di grande rilevanza organizzato dall'Associazione Amici dell'Università della Calabria, dedicato allo studio dell'etnobotanica e al ruolo delle conoscenze tradizionali nell'uso delle piante. L'evento, organizzato in collaborazione con il Museo di Storia Naturale della Calabria e Orto Botanico, il Museo delle Civiltà, il Sistema Museale UNICAL e lo stesso Ateneo, ha visto l'intervento del prof. De Fine del Barlacchi Lucifero, figura di spicco nel campo dell'etnobotanica, che ha condiviso approfondimenti sul patrimonio culturale dei mandriani di Cirò e Umbriatico, focalizzandosi sull'utilizzo delle piante a fini veterinari.

Durante il suo intervento, il prof. De Fine (invitato a relazionare direttamente dal prof. Nicodemo Passalacqua, referente scientifico dell’Orto Botanico), ha illustrato, servendosi di un ricco materiale fotografico, come i mandriani abbiano sviluppato nei secoli una conoscenza approfondita delle piante locali, sfruttandone le proprietà curative per il benessere del bestiame. Queste pratiche, tramandate oralmente di generazione in generazione, rappresentano un esempio significativo di etnoscienza applicata, in cui la tradizione si fonde con l'osservazione empirica della natura. Tra le specie vegetali menzionate figura l’helleboro bocconei, utilizzato per curare la bronchite dei bovini, attraverso un vero e proprio rituale consistente nell’”arricchiare” una mucca colpita da bronchite, cioè forarne il padiglione auricolare dell’animale per inserirvi una piccola parte della piantina a scopo curativo.

Dal punto di vista scientifico, l'intervento del prof. De Fine ha sottolineato l'importanza della salvaguardia di questo sapere ancestrale. La perdita delle conoscenze tradizionali, infatti, rappresenterebbe non solo un impoverimento culturale, ma anche una perdita di potenziali soluzioni sostenibili per la gestione della salute animale. Il confronto con la comunità accademica ha inoltre permesso di riflettere sulla possibilità di integrare queste conoscenze con le pratiche veterinarie moderne, promuovendo un approccio olistico e sostenibile.

Un ringraziamento particolare è da rivolgere al dirigente scolastico, dott Girolamo Arcuri che, da sempre convinto dell’importanza formativa di eventi scientifico culturali di livello accademico per gli studenti, ha sostenuto la scelta che il prof. De Fine fosse accompagnato da una delegazione del Polo Barlacchi -Lucifero, offrendo ai ragazzi l’opportunità di respirare aria di innovazione e tradizione sinergicamente coniugate in un’ottica di positiva sostenibilità.

L'aspetto sociale di queste conoscenze è altrettanto rilevante: esse non solo definiscono l'identità culturale delle comunità rurali, ma rafforzano il legame tra uomo, animale e ambiente naturale. La riscoperta e la valorizzazione di questo sapere possono rappresentare un'opportunità per promuovere il turismo culturale e sostenere l'economia locale attraverso la valorizzazione dei prodotti derivati dalle piante autoctone, permettendo di aprire un dialogo significativo tra tradizione e scienza, offrendo spunti di riflessione sulla conservazione del patrimonio etnobotanico e sulla sua possibile applicazione contemporanea, ponendosi con lo spirito di chi è consapevole che “ non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono” ( Galileo Galilei).