venerdì 4 luglio 2025

Cirò- “San Nicodemo Abate è nato a Cirò il 12 Maggio del 900 nell’antico villaggio di Psicrò odierna Cirò la verità in uno dei 25 Bios a lui dedicati in uno studio di Mons Terminelli

 


Cirò- “San Nicodemo Abate è nato a Cirò il 12 Maggio del 900 nell’antico villaggio di Psicrò odierna Cirò
la verità in uno dei 25 Bios a lui dedicati” . A sciogliere ogni dubbio  sul suo luogo di nascita diversi autorevoli storici antichi e moderni   i quali ne  sostengono le origini cirotane, della statura di: Abate Apollinare Agresta(1621-1695); Tommaso Aceti (1687-1749); Giovanni Fiore da Cropani (1622-1683); G.F. Pugliese (1789-1855); Antonio Aromolo nel 1901;  D. Vincenzo Zavaglia (1906-1974) di Mammola; Antonino Terminelli (1922-2016); P. Francesco Russo (1908-1991). Grazie ai loro studi hanno tolto ogni dubbio sul luogo nativo del Santo annullando le teorie di chi lo voleva nato nel reggino  solo perché alcuni autori lessero solo uno delle 25 copie dei bios esistenti sulla vita di San Nicodemo tradotto sotto dettatura dal monaco Daniele , un bios  a dire dagli studiosi, pieno di errori, che riportava erroneamente  il nome di Sicròs, mentre il monaco Agresta aveva letto senza ombra di dubbio-scrive il dotto Mons Terminelli-  un'altra copia dove era riportato il nome Psicrò, termine che lascia poco spazio ad altre forzate  interpretazioni. Una soluzione a cui era giunto   l’immenso Mons. Antonino Terminelli   nel 1979 attraverso uno studio minuzioso riportato nel suo ”Cirò, Patria di San Nicodemo”-estratto da “Studi Meridionali n.4 ” . Il Monaco Agresta  nella sua: ”Vita su San Nicodemo Abbate dell’ordine di  San Basilio”- Edito a Roma nel 1677,- scrive Mons Terminelli- afferma senza la minima ombra di dubbio che:” nella provincia della Calabria Citeriore quattro miglia distante dal mare Ionio, nei contorni delle Saline del fiume Neto sortì il nome  Nicodemo”. Nel Bios al foglio 245 il Saetta  legge:” Ebbe la dimora nelle Saline, in un paese detto Sicròs”,  ma Sicròs non è un paese ma solo il nome di un torrente, un ruscello in  un terreno scosceso della locride, da qui l’errore e l’inganno da parte di chi ha voluto costruire  una nuova Patria per San Nicodemo diversa da quello indicato dal dotto Agresta, infatti la parola Sicrò, è stato  scritto sotto dettatura dal monaco Daniele, un testo pieno di errori. Indubbiamente scrive Mons Terminelli-   del Bios  di San Nicodemo dovevano esistere copie diverse con numerose varianti. Sicuramente il Bios  letto dall’Agresta riportava il nome Psicrò, manoscritto conservato nel Monastero di San Salvatore, dove afferma senza ombra di dubbio, ch’esso è l’originale, e che questo è uno dei 25 copie esistenti presenti nelle biblioteche dei vari monasteri e negli stessi ascetari.  Da qui la conferma- prosegue Mons Terminelli- che Psicrò del Bios di Nicodemo non poteva non essere che l’attuale Cirò. Questa convinzione  veniva inoltre suffragata dal testo che ci viene offerto dal “ Sermo in vitam Sancti Nicodemi”. E comunque precisa Mons Terminelli: anche se dovessimo accettare la variante “Sicros” letta dal Saletta nel Bios, non dovremmo avere difficoltà a riferirla all’attuale Cirò visto che la voce greca di Sicròs sta ad indicare un fenomeno di semplificazione fonetica che lungo i secoli ha portato all’attuale nome di Cirò. Inoltre scriveva  Mons. Terminelli:” la causa con Mammola non avrebbe potuto avere senso e significato, se la premessa della veridicità dei natali fosse stata disattesa, perché non fondata o addirittura falsa.  Sarebbe stato assai facile all’Università di Mammola aver ragione se Nicodemo non fosse nato veramente a Cirò. Per questo a Cirò venne dato un pezzo della mascella del Santo,  consegnato allora al feudatario Spinelli, che venne  conservato in un oratorio  scelto proprio perché fu la casa nativa del Santo, dove abitava la famiglia Dima, genitori di San Nicodemo, dove fece i primi miracoli ancora oggi visibili sulla roccia del  pavimento. Certi della sua appartenenza e dietro insistenza dei cittadini e del clero  nel 1630 Papa Urbano VIII lo proclama Santo Patrono e cittadino di Cirò il 2 Marzo del 1630. Per tutto questo i Cirotani ringraziano il dotto Mons Terminelli per aver sciolto ogni dubbio sulla nascita di San Nicodemo, attraverso la sua scrupolosa ricerca storica.

giovedì 29 maggio 2025

Il Botanico De Fine in convegno su Etnobotanica all'Università della Calabria

 


Etnobotanica e tradizioni: il Barlacchi-Lucifero approda all’UNICAL

Il Centro Congressi "Andreatta" dell'Università della Calabria ha recentemente ospitato un convegno di grande rilevanza organizzato dall'Associazione Amici dell'Università della Calabria, dedicato allo studio dell'etnobotanica e al ruolo delle conoscenze tradizionali nell'uso delle piante. L'evento, organizzato in collaborazione con il Museo di Storia Naturale della Calabria e Orto Botanico, il Museo delle Civiltà, il Sistema Museale UNICAL e lo stesso Ateneo, ha visto l'intervento del prof. De Fine del Barlacchi Lucifero, figura di spicco nel campo dell'etnobotanica, che ha condiviso approfondimenti sul patrimonio culturale dei mandriani di Cirò e Umbriatico, focalizzandosi sull'utilizzo delle piante a fini veterinari.

Durante il suo intervento, il prof. De Fine (invitato a relazionare direttamente dal prof. Nicodemo Passalacqua, referente scientifico dell’Orto Botanico), ha illustrato, servendosi di un ricco materiale fotografico, come i mandriani abbiano sviluppato nei secoli una conoscenza approfondita delle piante locali, sfruttandone le proprietà curative per il benessere del bestiame. Queste pratiche, tramandate oralmente di generazione in generazione, rappresentano un esempio significativo di etnoscienza applicata, in cui la tradizione si fonde con l'osservazione empirica della natura. Tra le specie vegetali menzionate figura l’helleboro bocconei, utilizzato per curare la bronchite dei bovini, attraverso un vero e proprio rituale consistente nell’”arricchiare” una mucca colpita da bronchite, cioè forarne il padiglione auricolare dell’animale per inserirvi una piccola parte della piantina a scopo curativo.

Dal punto di vista scientifico, l'intervento del prof. De Fine ha sottolineato l'importanza della salvaguardia di questo sapere ancestrale. La perdita delle conoscenze tradizionali, infatti, rappresenterebbe non solo un impoverimento culturale, ma anche una perdita di potenziali soluzioni sostenibili per la gestione della salute animale. Il confronto con la comunità accademica ha inoltre permesso di riflettere sulla possibilità di integrare queste conoscenze con le pratiche veterinarie moderne, promuovendo un approccio olistico e sostenibile.

Un ringraziamento particolare è da rivolgere al dirigente scolastico, dott Girolamo Arcuri che, da sempre convinto dell’importanza formativa di eventi scientifico culturali di livello accademico per gli studenti, ha sostenuto la scelta che il prof. De Fine fosse accompagnato da una delegazione del Polo Barlacchi -Lucifero, offrendo ai ragazzi l’opportunità di respirare aria di innovazione e tradizione sinergicamente coniugate in un’ottica di positiva sostenibilità.

L'aspetto sociale di queste conoscenze è altrettanto rilevante: esse non solo definiscono l'identità culturale delle comunità rurali, ma rafforzano il legame tra uomo, animale e ambiente naturale. La riscoperta e la valorizzazione di questo sapere possono rappresentare un'opportunità per promuovere il turismo culturale e sostenere l'economia locale attraverso la valorizzazione dei prodotti derivati dalle piante autoctone, permettendo di aprire un dialogo significativo tra tradizione e scienza, offrendo spunti di riflessione sulla conservazione del patrimonio etnobotanico e sulla sua possibile applicazione contemporanea, ponendosi con lo spirito di chi è consapevole che “ non basta guardare, occorre guardare con occhi che vogliono vedere, che credono in quello che vedono” ( Galileo Galilei).