domenica 22 marzo 2015

Presentazione del libro Giano Lacinio Alchimista Francescano del XVI secolo di Francesco Vizza



Presentazione del libro Giano Lacinio Alchimista Francescano del XVI secolo
di Francesco Vizza
Inaugurato anche il museo dedicato all’alchimia, ideato e diretto da Vizza e allestito dall’arch. Giuseppe Capoano.
Erano presenti nell’aula consiliare di Cirò il moderatore Lenin Montesanto, l’editore Domenico Laruffa, il sindaco di Cirò Mario Caruso e un folto ed interessato pubblico.

Nel Pantheon dei personaggi di Cirò, illustri nel mondo per cultura e scienza, entra nuova luce: quella su Giano LACINIO, alchimista francescano del ‘500.
Il teologo minorita e alchimista Giano Lacinio, riporta Vizza nel suo libro, nasce a Cirò tra il 1502 e il 1505. All’età di 10 anni entra come semplice oblate nel Convento dei Minori Conventuali di San Francesco d’Assisi di Cirò dove compie i primi studi di grammatica. All’età di 16 anni viene ammesso al noviziato e furono scelti per lui gli Studi più rinomati dell’Ordine. Dopo 9 anni di impegnativi studi di logica, filosofia, metafisica e teologia, all’età di 24 anni, fu ordinato sacerdote. In virtù delle sue particolari doti intellettuali, fu inviato nel Collegio Teologico del Convento del Santo di Padova, dove ottenne il dottorato in Sacra Teologia. In seguito Giano Lacinio fu avviato alla carriera di Reggente ed insegnò per altri 9 anni negli Studi di teologia. Diventa professore di teologia e Reggente del Collegio Teologico di Padova. 

Giano Lacinio è una figura importante nel panorama culturale del ‘500 poiché pubblica una raccolta di testi alchemici di personaggi come Petro Bono, Raimondo Lullo, Ràzi, Arnaldo da Villanova, Alberto Magno e Michele Scoto, che hanno fatto la storia dell’alchimia. L’opera dal titolo “Pretiosa Margarita Novella de Thesauro, Ac Praeciosissimo Phylosophorum Lapide, Artis, Huius Divine Typus et Methodus: Collectanea ex Arnaldo, Raymundo, Rhasi, Alberto et Michaele Scoto”, fu stampata a Venezia nel 1546.
La fortuna e l’importanza della sua opera, è testimoniata dalle varie edizioni stampate nell’arco di quattro secoli: nel 1546 e nel 1557 a Venezia; nel 1554 a Norimberga con il titolo “Preciosa Ac Nobilissima Artis Chymiae De Occultissimo Ac Praeciosissimo Philosophorum Lapiden” che è sostanzialmente diversa da quella stampata a Venezia; nel 1714 a Lipsia viene pubblicata da Wolfgang una traduzione in tedesco; nel 1894 a Londra, A. E. Whaite pubblica The New Pearl of Great Price a Treated Concerning the Treasure and Most Precious Stone of the Philosofers, che è una traduzione ed adattamento in lingua inglese dell’opera stampata a Venezia nel 1546. L’opera viene ristampata nel 1963. Altre edizioni che si richiamano all’opera di Lacinio sono poi stampate a Basilea nel 1572, a Mömpelgard nel 1602 e a Strasburgo nel 1600.
Lacinio riprende un tema caro agli alchimisti francescani medioevali secondo il quale l’arte alchemica si fonda su una profonda ispirazione divina. In questo contesto, la ricerca della Pietra Filosofale non è un mezzo per accumulare ricchezze, ma lo strumento per il rinnovamento dell’anima e per soccorrere i bisognosi. L’alchimia riproposta da Lacinio detta un progetto di redenzione universale, di elevazione spirituale nella quale i metalli diventano simboli di un perfezionamento dell’uomo attraverso la Fede. L’alchimista è prima di tutto uno “scienziato” che si distacca da posizioni acritiche e puramente magistiche, linea dominante del pensiero medioevale, per innalzarsi al rango di sperimentatore razionale.

La trasmutazione dei metalli vili in oro ottenuta per mezzo della Pietra Filosofale, descritta da Lacinio, è caratterizzata da un linguaggio simbolico che esprime in immagini le metamorfosi dei metalli che avvengono nell’alambicco, nel forno e nel crogiuolo. I metalli sono rappresentati in chiave antropomorfica ovvero sono come siamo noi. Istituisce un forte legame tra alchimia e religione destinato a perpetuarsi come elemento fondamentale della speculazione alchemica del Rinascimento ed oltre. Il suo linguaggio allegorico si basa sulla dialettica contrapposizione morte - resurrezione della materia, secondo la visione cristiana della redenzione dell’uomo. L’alchimista, che indaga i recessi più segreti della natura e che cerca la purificazione della materia deve compiere un processo di ascesa e di elevazione culturale e spirituale per potersi avvicinare alla rivelazione dei segreti.
Vizza nella sua opera scrive che il periodo di maggiore diffusione dell’arte o scienza alchimistica si colloca tra il IX e il XVI secolo d.C., anche se questa disciplina ha origini molte antiche ed era praticata molto prima dell’era cristiana. Tra i suoi cultori si possono annoverare imperatori, prelati, papi, parroci, orafi e tintori. Hanno fatto parte di questa cerchia anche personaggi di grande spessore culturale come Bacone, S. Tommaso d’Aquino e Isaac Newton e quasi tutti gli uomini di scienza del XIV-XVI secolo. Questa disciplina, oltre ad avere come obiettivo la trasmutazione dei metalli in oro si interessava a tutta la trasformazione della materia. L’aspetto farmaceutico era assai rilevante perché la ricerca della trasmutazione si accompagnava alla ricerca dell’elisir, il farmaco universale ai quali si attribuiva il potere di prolungare la vita. L’elisir poteva purificare non solo i metalli vili in oro ma anche l’uomo dalle impurità e dunque dalle malattie. Le radici teoriche della sperimentazione alchemica risalgono alla teoria dei quattro elementi (terra, fuoco, aria e acqua), alla teoria umorale, alla tradizione aristotelica e pseudo aristotelica.

Al termine della presentazione del libro sono state inaugurate due sale museali dedicate all’alchimia e all’alchimista Giano Lacinio di Cirò. Il museo è stato realizzato su idea, direzione e testi di Francesco Vizza e progettazione e allestimento museografico dell’architetto Giuseppe Capoano.