Presentazione del libro Giano Lacinio
Alchimista Francescano del XVI secolo
di Francesco Vizza
Inaugurato anche il museo dedicato all’alchimia, ideato e
diretto da Vizza e allestito dall’arch. Giuseppe Capoano.
Erano presenti nell’aula
consiliare di Cirò il moderatore Lenin Montesanto, l’editore Domenico Laruffa,
il sindaco di Cirò Mario Caruso e un folto ed interessato pubblico.
Nel Pantheon dei
personaggi di Cirò, illustri nel mondo per cultura e scienza, entra nuova luce:
quella su Giano LACINIO, alchimista francescano del ‘500.
Il
teologo minorita e alchimista Giano Lacinio, riporta Vizza nel suo libro, nasce
a Cirò tra il 1502 e il 1505. All’età di 10 anni entra come semplice oblate nel
Convento dei Minori Conventuali di San Francesco d’Assisi di Cirò dove compie i
primi studi di grammatica. All’età di 16 anni viene ammesso al noviziato e
furono scelti per lui gli Studi più rinomati dell’Ordine. Dopo 9 anni di
impegnativi studi di logica, filosofia, metafisica e teologia, all’età di 24
anni, fu ordinato sacerdote. In virtù delle sue particolari doti intellettuali,
fu inviato nel Collegio Teologico del Convento del Santo di Padova, dove
ottenne il dottorato in Sacra Teologia. In seguito Giano Lacinio fu avviato
alla carriera di Reggente ed insegnò per altri 9 anni negli Studi di teologia.
Diventa professore di teologia e Reggente del Collegio Teologico di Padova.
Giano
Lacinio è una figura importante nel panorama culturale del ‘500 poiché pubblica
una raccolta di testi alchemici di personaggi come Petro Bono, Raimondo Lullo,
Ràzi, Arnaldo da Villanova, Alberto Magno e Michele Scoto, che hanno fatto la
storia dell’alchimia. L’opera dal titolo “Pretiosa
Margarita Novella de Thesauro, Ac Praeciosissimo Phylosophorum Lapide, Artis,
Huius Divine Typus et Methodus: Collectanea ex Arnaldo, Raymundo, Rhasi,
Alberto et Michaele Scoto”, fu stampata a Venezia nel 1546.
La
fortuna e l’importanza della sua opera, è testimoniata dalle varie edizioni
stampate nell’arco di quattro secoli: nel 1546 e nel 1557 a Venezia; nel 1554 a Norimberga con il
titolo “Preciosa Ac Nobilissima Artis
Chymiae De Occultissimo Ac Praeciosissimo Philosophorum Lapiden” che è
sostanzialmente diversa da quella stampata a Venezia; nel 1714 a Lipsia viene
pubblicata da Wolfgang una traduzione in tedesco; nel 1894 a Londra, A. E. Whaite
pubblica The New Pearl of Great Price a
Treated Concerning the Treasure and Most Precious Stone of the Philosofers,
che è una traduzione ed adattamento in lingua inglese dell’opera stampata a
Venezia nel 1546. L’opera viene ristampata nel 1963. Altre edizioni che si
richiamano all’opera di Lacinio sono poi stampate a Basilea nel 1572, a Mömpelgard nel 1602
e a Strasburgo nel 1600.
Lacinio
riprende un tema caro agli alchimisti francescani medioevali secondo il quale
l’arte alchemica si fonda su una profonda ispirazione divina. In questo
contesto, la ricerca della Pietra Filosofale non è un mezzo per accumulare
ricchezze, ma lo strumento per il rinnovamento dell’anima e per soccorrere i bisognosi.
L’alchimia riproposta da Lacinio detta un progetto di redenzione universale, di
elevazione spirituale nella quale i metalli diventano simboli di un
perfezionamento dell’uomo attraverso la Fede. L’alchimista è prima di tutto uno
“scienziato” che si distacca da posizioni acritiche e puramente magistiche,
linea dominante del pensiero medioevale, per innalzarsi al rango di
sperimentatore razionale.
La
trasmutazione dei metalli vili in oro ottenuta per mezzo della Pietra
Filosofale, descritta da Lacinio, è caratterizzata da un linguaggio simbolico
che esprime in immagini le metamorfosi dei metalli che avvengono
nell’alambicco, nel forno e nel crogiuolo. I metalli sono rappresentati in
chiave antropomorfica ovvero sono come siamo noi. Istituisce un forte legame
tra alchimia e religione destinato a perpetuarsi come elemento fondamentale
della speculazione alchemica del Rinascimento ed oltre. Il suo linguaggio
allegorico si basa sulla dialettica contrapposizione morte - resurrezione della materia, secondo la visione cristiana
della redenzione dell’uomo. L’alchimista, che indaga i recessi più segreti
della natura e che cerca la purificazione della materia deve compiere un
processo di ascesa e di elevazione culturale e spirituale per potersi
avvicinare alla rivelazione dei segreti.
Vizza
nella sua opera scrive che il periodo di maggiore diffusione dell’arte o
scienza alchimistica si colloca tra il IX e il XVI secolo d.C., anche se questa
disciplina ha origini molte antiche ed era praticata molto prima dell’era cristiana.
Tra i suoi cultori si possono annoverare imperatori, prelati, papi, parroci,
orafi e tintori. Hanno fatto parte di questa cerchia anche personaggi di grande
spessore culturale come Bacone, S. Tommaso d’Aquino e Isaac Newton e quasi
tutti gli uomini di scienza del XIV-XVI secolo. Questa disciplina, oltre ad
avere come obiettivo la trasmutazione dei metalli in oro si interessava a tutta
la trasformazione della materia. L’aspetto farmaceutico era assai rilevante
perché la ricerca della trasmutazione si accompagnava alla ricerca dell’elisir, il farmaco universale ai quali
si attribuiva il potere di prolungare la vita. L’elisir poteva purificare non
solo i metalli vili in oro ma anche l’uomo dalle impurità e dunque dalle
malattie. Le radici teoriche della sperimentazione alchemica risalgono alla
teoria dei quattro elementi (terra, fuoco, aria e acqua), alla teoria umorale,
alla tradizione aristotelica e pseudo aristotelica.
Al termine
della presentazione del libro sono state inaugurate due sale museali dedicate
all’alchimia e all’alchimista Giano Lacinio di Cirò. Il museo è stato
realizzato su idea, direzione e testi di Francesco Vizza e progettazione e
allestimento museografico dell’architetto Giuseppe Capoano.