Cirò- Il
lessicario “A parrata ’e Cirò” della nostra compaesana Margherita
Astorino, presentato lo scorso luglio
nella suggestiva cornice del terrazzo del Palazzo dei Musei, è stato adottato quale testo di consultazione
scolastico dall’Istituto onnicomprensivo
Luigi Lilio. L’acquisto fa parte della promozione della cultura e
valorizzazione delle figure locali, previsto dalle leggi sull’autonomia
scolastica, come patrimonio culturale,
all’interno di cui è stata consigliata appunto la lettura dell’opera della
scrittrice Astorino. La dirigente
scolastica dott.ssa Serafina Rita Anania ha colto puntualmente la valenza del
testo nella sua unicità per il corredo degli etimi che ci riportano alle varie
dominazioni e invasioni subite dalla terra calabrese e per l’eredità
linguistica di cui ancora oggi usufruiamo. Nell’excursus storico emergono le
influenze linguistiche dovute alle colonizzazioni, alle dominazioni ed
incursioni che si sono innestate su un linguaggio originario. Tutti hanno lasciato il loro contributo: Lucani,
Bruzi, Enotri, Greci, Latini, Arabi e Normanni ed infine, seguendo le sorti del
Regno di Napoli, Angioini ed Aragonesi. L’Autrice, conferma con questo suo
lavoro, che il dialetto è un prodotto storico ove alberga il sacrificio, la
sofferenza, la gioia quotidiana di una gente. Il lavoro minuzioso portato
avanti dall’Astorino non è stato certo quello di fare una semplicistica
raccolta di voci dialettali bensì di recuperare, con un lavoro certosino,
termini ormai desueti per l’avvento di nuove forme di linguaggio dovuti alla
globalizzazione o alla scomparsa dell’oggetto che portava quel nome (suriciàra,
liòna, pupulìddu, lucìsu, zaccuràfa), ecc..Salvare- scrive in una nota la
scrittrice- significa tramandare e quindi, acculturare. Il professore Gianni
Mazzei dialettologo, nella sua brillante relazione di presentazione del
libro aveva riconosciuto all’opera
dell’Astorino una grande competenza antropologica e linguistica ove una
comunità si racconta, secondo l’impostazione pasoliniana, nei giorni di festa,
in casa, nel lavoro, nel dolore. Parole che non solo evocano ma ridanno vita e
sostanza a persone care o semplici conoscenti, a luoghi, a vicende assolvendo
il compito di “cuntàri”, cioè raccontare, il reale e l’immaginario. Il testo è un invito
alle nuove generazioni a rivisitare il passato poiché il presente ha sempre
radici antiche. Il dialetto, tra lingua e storia, va tutelato come patrimonio
della identità di un territorio.