lunedì 25 aprile 2016

Ciro’- “No alla DOC Calabria- sarebbe finalizzata solo a sostenere interessi economici di massa, che non premiano la qualità perseguita dai viticoltori.



Ciro’-  “No alla  DOC Calabria- sarebbe finalizzata solo a sostenere interessi economici di massa, che non premiano la qualità perseguita dai viticoltori. Essa raggrupperebbe sotto un unico cappello zone che nulla hanno in comune, la cui qualità è fortemente disomogenea. Sarebbe una mina pericolosa per l’immagine di serietà e qualità produttiva di cui invece gode l’area del Cirò, consolidatasi nel tempo grazie a infaticabili agricoltori e viticoltori”. È quanto ha dichiarato il Sindaco Mario Caruso definendo assurda la proposta lanciata dal presidente di Confagricoltura Calabria Alberto Statti in occasione del recente VINITALY 2016 a Verona. 
Nello scenario vinicolo italiano – continua il primo Cittadino – il Cirò è una piccola realtà produttiva, ma con potenzialità enormi ancora inespresse. Ciò che chiedono e non da oggi i viticoltori è semmai valorizzare le diversità e le ricchezze enogastronomiche, attraverso una fattiva collaborazione con la Regione. Bisogna pertanto muoversi su un’altra strada – scandisce Caruso – quella cioè del riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) perché quest’ultima – continua – comprende i vini prodotti in determinate zone geografiche nel rispetto di uno specifico disciplinare di produzione.
La procedura per il riconoscimento delle denominazioni – ricorda il Sindaco – è profondamente cambiata dal 2010 in seguito all'attuazione della nuova normativa europea. Tra le altre cose, è stata portata in sede comunitaria la prerogativa di approvazione delle denominazioni, mentre precedentemente si procedeva tramite Decreto Ministeriale. Da allora la classificazione DOCG, così come la DOC, è stata ricompresa nella categoria comunitaria DOP.  Le DOCG sono riservate ai vini già riconosciuti a denominazione di origine controllata (DOC) da almeno dieci anni che siano ritenuti di particolare pregio, in relazione alle caratteristiche qualitative intrinseche, rispetto alla media di quelle degli analoghi vini così classificati, per effetto dell'incidenza di tradizionali fattori naturali, umani e storici e che abbiano acquisito rinomanza e valorizzazione commerciale a livello nazionale e internazionale. Prima di essere messi in commercio, tali vini devono essere sottoposti in fase di produzione ad una preliminare analisi chimico-fisica e ad un esame organolettico che certifichi il rispetto dei requisiti previsti dal disciplinare; l'esame organolettico inoltre deve essere ripetuto, partita per partita, anche nella fase dell'imbottigliamento. Per i vini DOCG, infine, è prevista anche un'analisi sensoriale (assaggio) eseguita da un'apposita commissione; il mancato rispetto dei requisiti ne impedisce la messa in commercio con il marchio DOCG. La legislazione prevede che le DOCG abbiano facoltativamente (sulla scorta di quello che succede da secoli in Francia con la classificazione legale, di tipo gerarchico-qualitativa, dei cru) una ulteriore segmentazione in alto in sottozone (comuni o parti di esso) o microzone (vigneti o poco più) ovvero la menzione geografica aggiuntiva. – In Italia vi sono alcune DOCG che prevedono questa segmentazione che va considerata come classificazione a sé, ovvero la punta della piramide qualitativa. Esattamente quello che ci si aspetterebbe in un territorio come il cirotano.