Cirò- Svelata
l’identità di Giano Lacinio di Cirò
alchimista Francescano del ‘500, che secondo gli studi compiuti dal ricercatore
Francesco Vizza si chiama Giano Terapo.
Dunque Francesco Vizza, sulla base di documenti inediti, rivela l’identità del
grande alchimista di Cirò appartenente
al Terzo Ordine Secolare dei Francescani. Francesco Vizza, Dirigente di Ricerca
del CNR, anticipa alcuni aspetti di un suo libro di prossima pubblicazione
sulla storia dell’alchimia e confida che nell’indagare sulla vita e opera di
Lacinio ha avvertito la consueta sensazione di trovarsi di fronte ad uno dei
soliti celebri personaggi calabresi sprofondati nell’oblio. Eppure, Giano
Lacinio teologo, filosofo ed alchimista, è una figura importante nel panorama
culturale del ‘500 poichè introduce per la prima volta, in opere a carattere
alchemico, il simbolismo allegorico della Resurrezione e della Incarnazione.
Concentra l’azione sui metalli perché nella tradizione alchemica condividono
con il mondo vegetale e animale la capacità di trasformarsi. I metalli vili
sono naturalmente ordinati a diventare oro e costituiscono i gradi intermedi di
una gerarchia naturale che ha come estremo da un lato l'argento vivo e lo
zolfo, dall'altro l'oro e l'argento. La sua opera riprende un tema caro agli
alchimisti francescani del ‘200 e ‘400 secondo il quale l’arte alchemica si
fonda su una profonda ispirazione divina. Sono, infatti, francescani come
Ruggero Bacone, Armando di Villanova, Rupescissa e tanti altri legati al
movimento degli Spirituali che con le loro riflessioni epistemologiche, le loro
teorie mediche e alchemiche trovano fondamento nell’ispirazione di Francesco
d’Assisi e di Gioacchino da Fiore. L’alchimia francescana riproposta e
divulgata da Lacinio detta un progetto di redenzione universale, di
trasmutazione spirituale nella quale i metalli diventano simboli di una condizione dell’essere che
deve essere purificato con la
Fede. In questa visione ascetica e contemplativa viene
tracciato un parallelismo tra la
Passione e Resurrezione di Cristo e la trasformazione dei
metalli sottoposti alla dura prova del crogiuolo e dell’alambicco. Ma
l’alchimista che propone Lacinio è prima di tutto uno scienziato che si
distacca da posizioni acritiche e puramente magistiche, linea dominante del pensiero
medioevale, per innalzarsi al rango di sperimentatore razionale. La natura
diventa il terreno di concreti interventi atti a modificare ciò che ha lasciato
di incompleto ed imperfetto. Sono scarsissime le notizie della vita di Lacinio.
Persino la sua origine è stata messa in dubbio e la sua vera identità è
ricostruita da Vizza per la prima
volta.Di lui era noto solo quanto riporta Bernardino Tafuri nella Istoria degli
scrittori nati nel Regno di Napoli: “In quale luogo della Calabria, avuto
avesse egli il nascimento, per diligenza praticate, non abbiamo saputo
invergarlo. Egli è certo però, che fu dalla nascita dotato d’un alto, e
perspicace ingegno, ed atto ad apprendere qualsisia scienza la più difficile.
Impercio cchè imparò la lingua latina, la Filosofia, la Teologia, la Medicina, ma la Chimica fu mai sempre la
sua diletta. In questa applicò tutto il suo talento, consumando le sostanze del
suo non troppo pingue patrimonio per rinvenire la maniera di trasmutare i
metalli; e perciò si provvide di tutte quelle opere manoscritte o stampate, che
trattavano quell’argomento. E come che alcuni portassero opinione, aver egli
rinvenuta la vera maniera di ridurla a perfezione, e che più volte gli fusse
anche riuscito di farla perfettamente; pure la strettezza, in cui egli visse
lungo tempo, e colla quale anche morì, persuase a tutti chiaramente il
contrario. Questa sua applicazione sembrava strana a molti di coloro, che lo
stimarono per uomo di consumata prudenza, e di saldo, e maturo intendimento;
parendo loro, che gli scemasse in qualche parte il credito, in cui era
comunemente tenuto, il vederlo applicato a quel vano, e sciocchissimo
intrattenimento. Ma questo fu un difetto scusabile in un Uomo Filosofo,
desideroso di rinvenire la verità di queste cose, che si revocano in dubio.
Proccurò bensì unire assieme quante opere Chimiche potè egli rinvenire, e
pubblicolle per mezzo delle Stampe col seguente titolo: Pretiosa Margarita
Novella de Thesauro, Ac Praeciosissimo Phylosophorum Lapide, Venezia 1546”. La fortuna e
l’importanza dell’opera di Lacinio, è testimoniata dalle varie edizioni
stampate nell’arco di quattro secoli: nel 1546 e nel 1557 a Venezia; nel 1554 a Norimberga con il
titolo Preciosa Ac Nobilissima Artis Chymiae De Occultissimo Ac Praeciosissimo
Philosophorum Lapiden; nel 1714
a Lipsia viene pubblicata da Wolfgang una traduzione in
tedesco; nel 1894 a
Londra, A. E. Whaite pubblica The New Pearl of Great Price a Treated Concerning
the Treasure and Most Precious Stone of the Philosofers, una traduzione ed
adattamento in lingua inglese dell’opera stampata nel 1546. L’opera viene
ristampata nel 1963; altre edizioni che si richiamano all’opera di Lacinio sono
poi stampate a Basilea nel 1572,
a Mömpelgard nel 1602 e a Strasburgo nel 1600. Secondo
alcuni storici, afferma Vizza, Lacinio
era lo psuedonimo del Francescano Giovanni da Crotone e ciò è
erroneamente riportato nel Dizionario Biografico degli Italiani a cura della
Treccani. Ma a fugare ogni dubbio sulle sue origini basta
leggere quanto lo stesso Lacinio riporta nella sua Pretiosa Margarita Novella:
“Giano Lacinio Minorita Calabrese di Cirò saluta il lettore”. Lacinio nasce
dunque a Cirò, molto probabilmente nel primo decennio del XVI secolo, e qui
riceve una solida educazione umanistica nel convento dei francescani. In
seguito si trasferisce a Padova dove diventa Dottore in Sacra Teologia.
Completa i suoi studi in Filosofia,
Medicina e Alchimia ed aderisce al Terzo Ordine Francescano. Quanto affermato è
testimoniato da documenti, carteggi epistolari e manoscritti che Vizza ha
rinvenuto nella Biblioteca Nazionale Tedesca di Norimberga e nella Biblioteca
Ashmole di Oxford. Giano Lacinio era il suo vero nome oppure uno pseudonimo
com’era uso tra gli alchimisti, e perché proprio Lacinio? Sono queste le
domande che Vizza si è posto durante la sua ricerca e che hanno trovato
risposta solo attraverso un’approfondita analisi di fonti inedite. Egli scelse
lo pseudonimo Lacinio ispirandosi al promontorio nei dintorni di Cirò su cui
nel ‘500 era creduto fosse edificato il celebratissimo Tempio Sacro alla Dea
del Parto, Giunone Lacinia. Ma qual’era il suo vero nome? Lacinio, continua
Vizza, lascia volutamente una traccia della sua identità nella presentazione
della sua opera stampata a Norimberga nel 1554 che recita: “una forma ed un
metodo di perfezionare i metalli base, di Giano Lacinio Terapo”. Ecco rivelato
il suo vero nome Terapo. Ma chi era Terapo?
Vizza, studiando la vita e opera
di un fine umanista di Cirò del ‘500, Gian Teseo Casopero, l’unico che
abbia lasciato testimonianze dirette dei personaggi cirotani di quel tempo,
apprende che Giano Terapo è colui che scrive l’epistola dedicatoria all’opera
di Casopero “Silvae libro Duo” che così recita: Giano Terapo Teologo Minorita
di Cirò saluta devotamente Giano Teseo Casopero cirotano, giovane illustre e
dotto”.Numerosi altri documenti ritrovati da Vizza, confermano che Gian Teso
Casopero e Giano Lacinio-Terapo erano
molto amici e dimoravano a Padova nel
1533, il primo studente al primo anno di Legge e l’altro già laureato in Sacra
Teologia. La cerchia di amici si estende a Luigi Lilio e a Cosmo Basamì padre
provinciale dell’Ordine dei Francescani. Emerge, da questa ricerca, una Calabria fucina di cultura che regala meraviglie
capaci di stupire. A Cirò nacquero nel primo decennio del Cinquecento quattro
personaggi importantissimi nel campo astronomico-matematico, della
teologia, delle lettere e dell’alchimia:
Luigi Lilio riformatore del Calendario Gregoriano, Cosmo Balsamo Teologo
francescano, Giano Teseo Casopero fine umanista e Giano Lacinio alchimista.
Essi furono promotori di un Rinascimento culturale che illuminò di conoscenza
l’Italia e il resto d’Europa.
A Giano Terapo, Dottore di Sacra Teologia
Occulto indagator della natura
e del reale, tu dimmi, per l’alma
dell’amico caro e per l’intelletto
del savio; dimmi, di’ Giano, ti prego,
ch’al poeta siano i secoli quale
pia ed ottima madre, qual fratello,
e responso di sibilla; si gioca
ai dadi, ad uno solo la vittoria
lieta sempre sorride, mentre all’altro
la sorte mostra la sua faccia avversa;
forse il fato, od il cielo, oppur la sorte
i dadi governa, o un demone o dio,
allor che l’arte stessa nulla vale?
Questi versi sono stati dedicati da Gian Teseo Caspero a
Giano Lacino-Terapo.
Grazie dunque al ricercatore Vizza che oggi, dopo secoli di
oblio, come lo fu anche per Lilio, conosciamo anche questo personaggio, un
altro figlio illustre di Cirò, che per quanto se ne dica di Cirò, rimane e sarà
sempre la culla della cultura del mediterraneo e forse anche del mondo.
Il nuovo libro su Giano Lacinio o meglio Terapo, sarà
pubblicato prossimamente da Francesco
Vizza, i cui documenti originali saranno tradotti grazie ai fondi
messi a disposizione dall'ente
cassa di risparmio di Firenze e dal CNR . L'operazione costerà circa 15.000
€.