Cirò- Dopo la notizia del restauro dell’antica tela della Madonna del Pozzo, quadro rinvenuto dal parroco don Giovanni Napolitano in pessime condizioni, logorato dal tempo, scrive in proposito in una nota la filosofa cirotana Maria Francesca Carnea da Roma dove lavora. “Quando la conoscenza, come la bellezza, incanta lo spirito e l’intelletto, la bellezza dell’arte rende pienamente “consonantia et claritas”, e l’auspicio è che permanga e prosegua, nel nostro fecondo territorio, questo intendimento della valorizzazione del buono così come del bello.
scrive la docente- Il restauro dell’antico quadro della Madonna del Pozzo, riportato alla bellezza originale e pronto ad adornare la Chiesa Madre, Maria de Plateis di Cirò, frutto sicuramente di un’attenta e buona intuizione del Parroco Don. Giovanni Napolitano, individua punti apprezzabili su cui portare l’attenzione, valorizzando il senso del sacro e del bello del nostro patrimonio culturale e religioso. Questo pregevole intervento, che vede risplendere la bellezza dell’immagine sacra della Santa Vergine “de Puteo”, chiama a una piccola ricerca per capire meglio della sua storia, su come nasce il culto della sua venerazione”. Secondo la ricercatrice Carnea:” Nell’estate del 1705, in un piccolo paesino in provincia di Bari, Capurso, un sacerdote, don Domenico Tanzella, versava in condizioni di salute gravissime, i medici gli avevano diagnosticato un male incurabile. Una notte la Madonna apparve all’agonizzante sacerdote, promettendogli il recupero «della salute primiera» qualora avesse bevuto l’acqua del pozzo detto di “Santa Maria”, sito in località Piscino, lungo la strada provinciale che conduce a Noicattaro, e fatto voto di erigere una Chiesa, a lei dedicata, con annesso convento dei frati francescani.Il Tanzella, all’indomani, con grande fatica, ma confidando nelle parole della Vergine, si portò al pozzo dove bevve l’acqua. Miracolosamente e istantaneamente riacquistò la piena salute. Il 30 agosto 1705, don Domenico, al fine di adempiere al voto, accompagnato da suo fratello, Lorenzo, e da due amici, si recò a visitare il pozzo di “Santa Maria”, per così rendersi meglio conto del miracolo. Scesero con una scaletta a pioli, essendo il pozzo in parte prosciugato. Nella difficoltà della discesa, la candela accesa, che aveva in mano uno di loro, cadde nell’acqua, continuando ciononostante ad ardere tranquillamente e a far luce. Spronati da questo evento prodigioso e incuriositi, cominciarono a esplorare le pareti del pozzo. Ecco che videro sull’intonaco, una bellissima immagine della Madonna, di stile bizantino, che li guardava sorridente, forse opera di monaci basiliani, sfuggiti alla furia iconoclasta nel VII - VIII sec. Di qui l’origine del culto per la Madonna detta, dal luogo del rinvenimento della sacra immagine, “de Puteo”. Don Domenico decise di far staccare la delicatissima immagine dal muro, onde poterla esporre alla pubblica venerazione dei fedeli. Ed ecco verificarsi un nuovo prodigio. L’immagine della Vergine col Bambino, staccandosi miracolosamente dalla parete del pozzo, prima galleggiò sull’acqua e pochi istanti dopo andò a consegnarsi nelle braccia del sacerdote. Questi, commosso, si affrettò a risalire con la preziosa icona tra le braccia, depositandola provvisoriamente nella sagrestia della chiesa. Il 12 gennaio 1706 Don Tanzella chiese e ottenne dall’Arcivescovo di Bari, mons. Muzio Gaeta Seniore, che la Cappella fosse benedetta e aperta al pubblico. Il 9 febbraio di quell’anno, lo stesso Domenico Tanzella benedisse la Cappella, aprendola al pubblico culto sotto il titolo di S. Maria detta del Pozzo (dal luogo del rinvenimento) e di S. Lorenzo martire. Di fronte all’inattesa evoluzione degli eventi e ai mirabili prodigi che si verificavano, Don Tanzella, adempiendo ancora il voto, si convinse della necessità di affidare il culto della Vergine del Pozzo a un istituto religioso di rigida osservanza e indicò i Francescani Alcantarini. Così il 17 agosto 1714 donò ai Frati la Cappella da lui fondata. La scelta del devoto sacerdote spinse gli storici a credere che la Madonna gli fosse apparsa tra i SS. Pasquale Baylon e Pietro d’Alcantara, entrambi religiosi dell’Ordine dei Frati Minori, e gli avesse imposto espressamente la fondazione a Capurso di un convento del loro Ordine. Nel febbraio 1739 già funzionava una comunità francescana con sette religiosi, dediti al servizio della cappella di S. Maria del Pozzo. La fabbrica del Convento fu completata nell’ottobre 1746”. Per quanto riguarda i due francescani, scrive ancora la filosofa e ricercatrice Carnea:” San Pietro d'Alcantara, religioso dell’Ordine dei Frati Minori, nasce ad Alcantara, piccola città dell'Estremadura, ai confini con il Portogallo, nel 1499. A sedici anni prende l'abito da francescano, Ordine che in tutto il suo operato volle riportare al rigore della prima regola. Durante la sua vita da l'esempio della più severa penitenza e della più dura povertà. Fu consigliere di santa Teresa di Gesù nella riforma dell’Ordine Carmelitano. San Pasquale Baylon, anch’egli religioso dell’Ordine dei Frati Minori, nacque nel 1540, a Torre Hermosa, in Aragona. Mostrandosi sempre premuroso e benevolo verso tutti, venerò costantemente con fervido amore il mistero della Santissima Eucaristia. Tutta la sua vita fu caratterizzata da un profondo amore per l'Eucaristia che gli valse il titolo di «teologo dell'Eucaristia». Fu anche autore di un libro sulla reale presenza di Cristo nel pane e nel vino. Nel 1897 Leone XIII lo proclamò patrono dei Congressi eucaristici. Questa era la storia che la docente di filosofia Carnea ha voluto regalarci. Ed ecco che la conoscenza, come la bellezza, nelle sue infinite sfaccettature, incanta lo spirito e l’intelletto. La peculiarità della bellezza è il suo splendore, sosteneva Tommaso d’Aquino e, nella sua celebre affermazione «Pulchrum est quod visum placet» individua come del bello conta l’apprensione e, in modo singolare, il godimento: il bello è “gradevole alla conoscenza” dice, poiché il bello richiede di essere “conosciuto”. La bellezza fino al Medioevo sarà consonantia et claritas, armonia e luce. Nei nostri giorni ha assunto una concezione del tutto avulsa dalla conoscenza, sensoriale e razionale, del tutto staccata dal piacere estetico e dalla comune esperienza. Si è pervenuti a un intendimento di bellezza costruito senza alcun nesso con la realtà e con la “vista”. Sono nate, nella modernità, svariate tipologie di arte, unite da un’incomprensibile concezione della bellezza: disarmonia, distacco, parzialità, sproporzione. L'arte, che per Platone deve essere al servizio della verità, ha il compito di mostrare la verità delle cose, dietro la loro parvenza materiale, e, per fare questo, deve tendere al trascendente. La bellezza dell’arte rende pienamente consonantia et claritas, e l’auspicio è che permanga e prosegua, nel nostro fecondo territorio, questo intendimento della valorizzazione del buono così come del bello. Speriamo dunque che possiamo riscrivere un’altra storia al prossimo restauro.